Un giornalista comunista e la segregazione razziale nello sport USA

Anche chi non è attratto dal baseball o dallo sport in generale, ma coltiva almeno un pallido interesse per questioni sociali e politiche cruciali del ventesimo secolo, dovrebbe aver qualche familiarità con la storia di Jackie Robinson.  Il 15 aprile del 1947 Robinson, allora ventottenne, faceva il suo esordio nella Major League Baseball (MLB), il principale campionato professionistico di baseball degli Stati Uniti. Tesserandolo, la sua squadra, i Brooklyn Dodgers, rompeva una regola non scritta ma applicata dalla fine dell’ottocento in quello che era considerato lo sport nazionale: i neri non possono giocare con i bianchi.

Negli anni, la storia di Robinson è diventata tema di film, libri, canzoni e spettacoli teatrali. A lui sono dedicati stadi, strade, parchi e perfino un asteroide (4319 Jackierobinson). Infine, nel 1997 la MLB ha ritirato il numero 42 indossato da Robinson da tutte le squadre del campionato, la prima volta che una tale decisione è stata presa per un giocatore. Il recente caso di Colin Koepernick, escluso dal campionato di Football Americano (NFL) per le sue prese di posizione a sostegno del movimento Black Lives Matter, ci induce a pensare che molto ancora rimane da fare per l’uguaglianza nello sport statunitense, ma non c’è dubbio che la realtà per gli afro-americani era radicalmente diversa nel secondo dopoguerra.

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