La poetica di Guy Picciotto

Guy Picciotto si porta dietro una storia influente come poche per quelli della nostra generazione, e lo fa con una modestia che mi ricorda quella dell’arrotino che vedevo a casa di mio nonno, circa trent’anni fa. Quell’uomo, che io ho conosciuto già vecchio, arrivava ogni anno nello stesso periodo e si piazzava nel sottoportico della casa, nella piazza del paese, e lì conduceva il suo mestiere, per lo più in silenzio, seduto sulla sua bici trasformata in mola affilatrice. Ho rivisto Guy Picciotto a otto anni dall’ultimo concerto dei Fugazi a cui avevo partecipato e la sua semplicità nei modi mi ha ricordato quella dell’arrotino, che di certo non aveva suonato davanti a masse di migliaia di persone e percorso in lungo e in largo mezzo pianeta militando in un gruppo punk. Guy era in tour con Vic Chesnutt per presentare l’ultimo disco di questo musicista che racconta storie di umanità distonica, intensamente poetica. Guy era seduto alla sinistra del palco e suonava la chitarra, in silenzio. Alla fine del concerto si è messo a sistemare l’ampli e la chitarra mentre gli altri del gruppo sparivano quasi tutti nel backstage. Ho pensato che qualcuno del pubblico si sarebbe avvicinato a lui – cazzo i Fugazi hanno insegnato a fare musica a migliaia di gruppi e lo stile di guy picciotto, trasfigurato e manomesso via via, è entrato nei vocabolari di molte lingue e perfino negli emoticons di skype con un termine preciso: EMOcore. Così venne definito il suo modo di stare sul palco e di cantare, ma lui non ci ha mai fatto caso.

Un ragazzo lo ha raggiunto, dandogli una copia di un cd. Guy ha interrotto quello che stava facendo, ha preso il cd, ha ringraziato e poi ha continuato. Oggi Guy ha 42 anni e comunica con una semplicità che sembra di un altro mondo rispetto a quello che si vede in ambito musicale. Quanta distanza dai gruppetti indierock che salgono sul palco con la convinzione di avere cose importantissime da dire e soprattutto da mostrare! Nel 1992 avevo pubblicato una fanzine interamente dedicata ai Fugazi e gliela inviai. Ricevetti una cartolina autoprodotta, un fotomontaggio firmato da Guy. Da allora ci furono altri contatti ma molto sporadici. Quella sera del concerto di Vic Chesnutt ero emozionato. Non so, ho ormai 40 e mi chiedo troppo spesso come salvare quel me idealista da questa barbarie che ci circonda. Guy Picciotto, prima con i Rites of Spring e poi con i Fugazi, ha dato un senso a molta parte della mia giovinezza. La sua semplicità di oggi, la stessa di vent’anni fa, mi ha fatto stare bene. Lo so, può sembrare eccessivo, ma ho lasciato il locale dove avevo visto il concerto con maggiore fiducia nelle persone. Al mondo ci sono altri Guy Picciotto, mi son detto. E se così non fosse, ce n’è almeno uno.

P.S. Difficilmente i Fugazi torneranno insieme. Però potrebbe uscire un disco registrato in Italia nelle Fugazi Live Series, ormai giunte al trentesimo capitolo.