Libri letti con piacere

Ho l’abitudine di segnare nell’agenda i libri che leggo. Lo faccio solo con quelli che aribitrariamente catalogo come “non-saggistica”, per distinguerli da quelli che mi ritrovo a leggere per esigenza di ricerca e documentazione. E’ un abitudine che ho preso da qualche anno, dopo essermi accorto di aver ricomprato e pure ricominciato a leggere libri che avevo già letto in un passato ahimé remoto (i miei neuroni zoppicano). Oggi mi sento di rammentare, a me stesso in primo luogo, i libri che ho letto con più interesse e passione nel corso del 2012. L’anno è cominciato, letterariamente parlando, benissimo.

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Per una nuova legge sulla cittadinanza

Ho partecipato ieri all’università di Udine ad un incontro attorno al tema della cittadinanza dei figli di immigrati, la cosiddetta “seconda generazione”. L’occasione era offerta dalla proiezione del documentario “Ius soli”, realizzato da Fred Kuwornu, regista italiano di origini ghanesi. Ius soli presenta uno specchio dei vissuti paradossali, taluni al limite dell’assurdo kafkiano, di migliaia di ragazzi e ragazze che pur nati e cresciuti in Italia non hanno diritto alla cittadinanza. Rispetto a questo tema, la legge del nostro paese è tra le più retrograde e ottuse in Europa. Non solo prevede un tempo lunghissimo di residenza per lo straniero che voglia diventare italiano (dieci anni, mentre sono solo tre in Irlanda, sei/otto in Germania), ma soprattutto prevede che chi è nato in Italia da genitori stranieri debba attendere il compimento del diciottesimo anno per poter “richiedere” la cittadinanza. Ovviamente, gli può essere anche rifiutata. Da vari anni giacciono in parlamento alcune proposte di legge. Speriamo che il prossimo parlamento finalmente le consideri e approvi una nuova normativa adeguata ai tempi. Forse uno dei messaggi più forti trasmesso dal documentario è la voglia di fare, esserci ed incidere nella vita collettiva dei giovani di origine immigrata. Proprio in tempi di crisi una tale “voglia” è un valore straordinario. E’ assurdo privarsene per colpa di una legge vecchia e sbagliata.

1958. Italia

Alcuni giorni fa su Radio3 hanno trasmesso un programma del 1958. Era un’intervista con Luchino Visconti in occasione di uno spettacolo teatrale da lui diretto da un testo di Harold Pinter. Non è tanto il tema o il protagonista ad avermi colpito, ma le voci. Le voci del conduttore e dell’intervistato. Il tono, la loro ‘profondità’. Ogni parola appariva allo stesso tempo sospesa e  ancorata nel tempo. Sospesa poco più in alto della realtà, una piccola distanza per poterla osservare e rappresentare meglio. E ancorata, perché pur trattando di ‘teatro’, di cultura non ‘popolare’, riusciva ad esprimere un’idea non minimale del paese. Di quale paese, mi sono chiesto? Dove sono finiti gli italiani? Erano voci di un’altra epoca, quelle rimandate dalla radio, e che spessore! Forse è il tempo che ha mangiato le parole e ora esse non hanno più lo stesso peso. Forse prima di mangiare le parole il tempo ha pensato bene di ruminare i contenuti che queste dovrebbero trasportare. Ora non sa che farsene. Se sputarli fuori, ormai inutili carcasse di suoni inarticolati. Oppure inghiottirli, piccoli bocconi senza più sapore.