Carceri e Venezuela, un problema insoluto (e in Italia…)

61 morti in un carcere venezuelano per scontri (armati) tra detenuti e forze di polizia. E’ notizia di questi giorni. Ma non è una notizia, non c’è nulla di nuovo. Quello delle morti violente all’interno delle carceri del Venezuela è un evento che si ripete ormai da anni, a scadenza frequente. Nel 2011 ci furono 560 morti, 476 l’anno prima. Nei primi sei mesi del 2012 i morti erano già trecento, più di due al giorno. Secondo l’Observatorio Venezolano de Prisiones questi numeri pongono il Venezuela nella posizione più critica di tutta l’America Latina. Per essere più precisi, nel 2008 in Venezuela morirono in carcere cinque volte più prigionieri che nelle carceri di Messico, Colombia, Brasile e Argentina. Quell’anno, in Venezuela, con una popolazione carceraria di 23.457 persone ci furono 422 morti. In Messico, su 250.000 prigionieri, 24. In Brasile, il rapporto fu di 450.000-19. Colombia: 72.000-7. Argentina, 62.000-10.

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Un paese in prigione

Ci sono fatti pazzeschi che non fanno notizia. O meglio, la fanno, ma in piccolo. Troppo in piccolo. Su peacereporter.it si ricorda un fatto che non riesce a bucare le agende dei mass media più importanti del pianeta, pur avendo da diversi anni tutte le caratteristiche della notiziabilità. Negli Usa un cittadino su cento è in prigione. Gli Usa hanno il numero più alto al mondo di prigionieri in proporzione alla popolazione. Più della Cina. Più della Russia. Più di qualsiasi altro stato, democratico o meno. L’articolo cita un recente rapporto del Pew Center che dimostra come negli anni di George Bush junior la situazione carceraria, già grave, sia addirittura peggiorata. Nella fascia tra i 20 e i 34 anni, un maschio nero su nove è in carcere. In totale, la proporzione è di uno ogni trenta. Al principio del 2008 negli Usa erano in carcere 2.319.258 persone. Due milioni e trecentodiciannovemila. Cifre da paura, ancor di più se si pensa che riguardano il paese che vuole “esportare democrazia”. Cliccando qui si può leggere l’articolo di peacereporter. Per uno sguardo sul recente passato, segnalo un articolo di The Nation, del 2004, che tratta lo stesso problema (clicca qui). Beh, se Obama sarà il nuovo presidente, e credo che tutti da questa parte dell’oceano se lo augurino al di là di quello che si può pensare di quel sistema di potere, ha molto lavoro da compiere; in pratica, non saprà da che parte incominciare!