Il dilemma delle corsie ciclabili (occupate)

Pedalare nelle grandi città è diventato più popolare, ma non più facile. Uno dei problemi in cui il ciclocittadino incorre regolarmente è la corsia ciclabile occupata. Dove vai se il furgone è posteggiato bellamente sull’unica stretta striscia riservata alla due ruote? Il peggio che può capitarti è tuttavia di essere multato per non aver pedalato sulla corsia ciclabile. Devi incappare in un vigile con poco senso del ridicolo, ma può succedere. E’ successo a un giovane regista newyorkese, che ha colto l’opportunità per realizzare un piccolo video mozzafiato…

E’ un bel parlare – fare ricerca al giorno d’oggi

Non me l’aspettavo di tornare a New York dopo appena un mese. Invece eccomi invitato alla conferenza Critical Themes in Media Studies. La New School University è stata la casa di molti esuli ebrei tedeschi negli anni del nazismo, tra cui Hanna Arendt ed Erich Fromm, e da allora si è costruita la fama di centro di sperimentazione nelle scienze sociali e nella didattica. Affascinante, cosa altro potrei dire? Ho scoperto che i discorsi da una parte dell’oceano si somigliano, ma hanno nomi diversi. Per esempio, negli Usa va di moda parlare di ‘ricerca multimodale’, che in soldoni significa contaminare i campi di ricerca, muoversi attraverso discipline diverse – antropologia, media studies, cultural studies, visual studies, arte – per cercare di capire e soprattutto rappresentare in maniera adeguata ai tempi i fenomeni sociali. Da questa parte dell’oceano, sprattutto in Gran Bretagna, si discute di ‘practice-based research’, ricerca fondata sulla pratica mi pare una traduzione possibile. Gli obiettivi sono gli stessi, gli interessi anche, cambiano le definizioni. Il problema è che a parlarne e a sollecitare la interdisciplinarietà sono di solito i professoroni, quelli che hanno una posizione professionale solida, mentre a cercare di ‘praticare’ nuovi percorsi sono pochi outsider che rischiano alla fine di trovarsi con un pugno di mosche in mano, perché non fanno parte di parrocchie o famiglie riconosciute. In che casella si mettono gli ‘inter-disciplinari’ se le uniche caselle esistenti sono quelle ‘disciplinari’?

Va bene, dice il mio altro me, hai ragione, ma lo sapevi da prima in che ginepraio andavi a cacciarti quando hai deciso di misurare il tuo desiderio di capire con quello che fanno gli studiosi di mestiere. Non puoi lamentarti. In fondo sei uno scrittore, hai fatto a lungo il giornalista, non sei nato come ricercatore sociale, o no? Ognuno ha le sue carriere, così va il mondo, almeno quello di oggi. – Bravo, sei così saggio e giudiziosio che non riesco a capire come tu possa condividere la stessa mia testa. Se tutti la pensassero come te il mondo sarebbe un posto ben noioso, e anche poco vitale. Le cose non sono mai a due colori, come vorresti credere tu. Lasciatelo dire, la tua è un illusione grossolana. Mi tengo la mia curiosità, la mia passione per l’umana impermanenza, tu tieniti le tue certezze. Faremo i conti alla fine.

Biciclette a New York

Da quando esiste la macchina digitale ho perso un po’ la passione per le foto. Mi manca l’ansia da rullino, il fatto di avere a disposizione poche foto e doverle far fruttare. Durante il mio viaggio patagonico avevo due rullini da 36 foto e me li sono fatti bastare. Se compissi oggi quel viaggio quante foto farei o sarei tentato di fare? A fare foto si perde un sacco di tempo, questo è quello che penso. Tuttavia, ogni tanto mi riprende  la passione del turista fotografo. Succede in particolare quando vado in una città che non conosco. Questa passione ha un soggetto specifico, quasi esclusivo: le biciclette. Nei pochi giorni a New York ne ho fotografate un certo numero. La prima impressione è che le biciclette stilose, quelle da rivista patinata che fanno molto coool e metropoli centro del mondo, a New York sono in realtà pochissime. La stragrande maggioranza delle bici che si vedono circolare sulle strade o legate a pali e inferriate, sono bici vissute, piuttosto ammaccate ma soprattutto vocate alla massima praticità. Il miglior indice di praticità è il cestello. Moltissime bici sono dotate di cestelli di varie forme e misure. C’è perfino – e non sono pochi – chi lega al manubrio con spago o nastri di fortuna delle scatole di plastica o cestelli della spesa rubati al supermercato. Quella delle bici ‘da battaglia’ è un’immagine incoraggiante, trasmette il senso di un mezzo praticato, usato, abitato. Un’immagine molto lontana dal ciclismo urbano modaiolo che apparentemente ha proprio città come New York quali centri originanti. Le bici (costose) viste come oggetto da mostrare più che come mezzo da usare sono delle eccezioni.

La bicicletta sta conquistando spazi nella metropoli: questo induce a pensare il cartello riportato nella foto in basso. Forse le bici migliori sono parcheggiate in queste strutture, perciò se ne vedono poche in giro. Ma quando le usano?

 

La gomma del ponte

Quando ero bambino le stecchette di gomma da masticare Brooklyn erano onnipresenti. Nei bar, nei negozi, alla tv: le confezioni in vari gusti della “gomma del ponte” non ti lasciavano mai. Erano piacevoli da masticare ma il piacere durava poco e poi arrivava l’oblio, o meglio il rifiuto. Divenute insapore, le gomme venivano gettate dove capitava e lì rimanevano, ad imperitura memoria della loro breve ma intesa vita. Erano tra i rifiuti più fastidiosi che si potessero pensare: si attaccavano ai marciapiedi, ai bordi dei banchi di scuola, alle sedie, e da lì non si muovevano più, solide come sassi. A un certo punto della mia vita le gomme da masticare sono scomparse. Non ero tanto io ad aver smesso di consumarle ma proprio l’intero umano paese ad aver perso attrazione per loro. Erano state soppiantate da un universo di mentine, mini gommine gelatinose, caramelle balsamiche e altre piccole amenità da infilare in bocca. La storia singolare delle gomme da masticare mi è tornata in mente entrando per la prima volta nella metropolitana di New York. La metropolitana non è in buone condizioni, tutt’altro. Forse Bill Gates potrebbe intervenire, si dice che con la sua fondazione abbia già devoluto 30 miliardi di dollari soprattutto in progetti educativi (spesso collegati alla diffusione dell’informatica e del computer…), ma qualche soldino per la metropolitana della città più importante degli Usa potrebbe trovarlo. Gli enti pubblici sembrano lontani dall’occuparsene.

Più che dalle pareti dei binari, scrostate e annerite, più che dagli scalini per raggiungerli, stretti e ripidi, e dalla quasi sistematica assenza di ascensori e scale mobili,  il mio occhio è stato attratto dalla pavimentazione. I pavimenti delle stazioni della metropolitana di New York sono coperti da macchie nere, dure e scolpite come fossero dei piccoli blocchi di colla. Sono gomme da masticare – cosa altro possono essere? Vecchie gomme da masticare abbandonate in un passato indefinito. Il fatto che in alcune stazioni di più recente fattura le macchie scure sul pavimento siano più rare e meno visibili, mi ha indotto a pensare che il destino della gomma del ponte (e dei suoi deboli concorrenti) abbia seguito negli Usa lo stesso destino seguito nella mia infanzia friulana. Grande euforia gustatoria e consumistica, declino e abbandono, trasformazione in elemento urbanistico inamovibile.

Appena ne avrò il tempo racconterò della musica che si può ascoltare nella metropolitana di New York durante i fine settimana. Gruppi e solisti di ogni genere, calamite di suoni senza confini. La loro presenza mi ha fatto presto scordare la gomma da masticare incollata ai pavimenti e ha reso ancor più memorabile il passaggio nella città dei grattacieli.  Ma per ora, la prima memoria conservata e offerta è quella della gomma da masticare.

david byrne è dei nostri (dopotutto)

Non sono mai stato un fan dei talking heads, al pop intellettuale ho sempre preferito il sudore elettrico e nell’eventualità di una scelta tra due concerti nella stessa sera ai succitati avrei sempre preferito gli squirrel bait o qualcosa che gli assomigliasse anche solo nel fantastico nome. Però, però, è bello trovare convergenze illuminanti ed essere sorpresi lateralmente. In un blog di cicloamanti ho trovato linkato un documento video che mi ha messo di buon umore (un evento, di questi tempi). L’autore è David Byrne, ai più noto come fondatore e leader dei defunti talking heads. Nulla di musicale, bensì la cronaca di un tragitto in bicicletta compiuto dal nostro nel centro di New York per recarsi ad un concerto, un suo concerto. Grazie a una telecamerina montata sul casco Byrne documenta cosa significa girare in bici in quella città, mentre pedala commenta i comportamenti di autisti e pedoni e se la prende con simpatica ironia con un camionista del new jersey che ha parcheggiato sulla corsia ciclabile….il giro finisce direttamente nei camerini del locale dove david deve esibirsi, non scende dalla bici nemmeno nel corridoio, mitico. Non da oggi Byrne è un sincero sostenitore della bici per gli spostamenti urbani, ma con questo video diventa un testimonial d’eccezione. Continua così, David! Per vedere il video cliccate qui