Cosa capiscono di calcio alla Rai?

Da Il Manifesto, 27 Dicembre 2017

Razzismo in tv. La brutale insensatezza del messaggio che alcuni commentatori del servizio pubblico diffondono

Il 13 dicembre scorso la Rai trasmetteva in diretta la partita di Coppa Italia di calcio tra Fiorentina e Sampdoria. Accanto al telecronista sedeva l’ex calciatore Eraldo Pecci, in qualità di commentatore. Sul risultato di 2-1 per la squadra ospitante, Pecci si è avventurato in una riflessione che di tecnico aveva poco, ma che rifletteva la sua visione del mondo e di come le persone ci vivono. Partendo da un errore di gioco commesso da un giocatore di origine africana, Pecci ha esposto un pensiero scioccamente razzista. Il cronista accanto a lui ha fatto finta di nulla, forse condividendolo.

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Antirazzisti nella Polonia della destra clericale*

L’associazione Never Again, che monitora gli episodi di xenofobia e anti-semitismo, denuncia l’escalation degli ultimi anni: «È molto difficile contrastare il razzismo negli stadi quando le stesse autorità sportive sostengono certi atteggiamenti. Vedi il caso Zbigniew Boniek»

Max Mauro

La questione rifugiati è lo specchio della crisi culturale delle democrazie europee. Mentre l’Italia del centro-sinistra inaugura la criminalizzazione delle ong impegnate nel Mediterrano nel salvataggio di vite, alcuni paesi dell’ex blocco sovietico si rifiutano di accogliere anche un solo rifugiato. Capofila è la Polonia, dove il governo guidato dal partito Legge e Giustizia promuove apertamente ostilità verso gli immigrati e le minoranze, mentre porta avanti riforme che compromettono le basi democratiche, come la recente legge approvata dalla camera bassa che mira ad assoggettare la corte suprema all’esecutivo.

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Xenofobi in campo: meno squalifiche e più formazione

Da Il Manifesto, 14 Marzo 2017

Il razzismo è parte dell’esperienza quotidiana di molti ragazzi di origine immigrata, soprattutto se di origine Africana, e il calcio non fa differenza. Al contrario, uno spazio che dovrebbe essere di socializzazione, svago e divertimento si trasforma spesso in un’esperienza traumatica per tutti quelli che vi sono coinvolti.

Tra settembre 2013 ad oggi circa quaranta calciatori dilettanti e dei campionati giovanili della FIGC hanno ricevuto una squalifica di dieci giornate per “comportamento discriminatorio”. Circa la metà dei casi è riferito a giocatori minorenni, alcuni poco più che bambini, come un undicenne di Prato che, nell’ottobre 2014, durante una partita della categoria esordienti, trovandosi quel giorno tra le riserve, aveva ripetutamente rivolto offese razziste all’arbitro, un adolescente di origine immigrata.

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Parole come proiettili ovvero il discorso sull’immigrazione

Da Il Manifesto, 30 novembre 2016

Quanta violenza c’è nel discorso sull’immigrazione? Per discorso intendo un’accumulazione di termini, idee, conversazioni, prassi, azioni concertate e azioni automatiche dello stato e delle strutture democratiche, inclusi i mass media. Tutti assieme, nel corso del tempo, creano un corpo fluido e multiforme che pervicacemente avvolge tutto quello che incontra. Il discorso è potere, perché penetra le (in)coscienze e trascina le azioni verso una direzione. Il discorso è violenza, perché non rispetta ambiti e pertinenze. Si muove al passo della tecnologia informativa, che nell’era dei social media non accetta silenzi né tantomeno riconosce riguardi. Non deve stupire se il discorso prende le forme dell’imprevisto, perché è quello il suo segreto, la sua forza. Il discorso non si fa solo attraverso le parole urlate del politico di turno abbonato alla poltrona degli studi televisivi. Il discorso si manifesta, e si rinnova continuamente, nell’espressione spontanea del cittadino in tutt’altro affaccendato, o dell’esperto che offre opinioni sui temi più diversi. Continua a leggere

Nazis on speed – le vecchie nuove storie del Corriere

Da giornalista professionista in quiescenza vengo raramente sorpreso dalle improvvisazioni e approssimazioni che attraversano l’informazione nell’era dei social media. Spesso però mi irrito, istintivamente. Stamattina scorrendo le notizie del Corriere ho trovato un articolo intitolato: ‘I soldati della Wehrmacht drogati con le metanfetamine’. Come molti appassionati di storia, credo, fin da ragazzo ho cercato risposte al grande buio occidentale rappresentato da Hitler e dal nazismo. Ho letto e accumulato volumi di ogni sorta, dalle biografie dei comandanti di Auschwitz e Treblinka agli studi sull’esoterismo e del paganesimo del primo nazismo, alle memorie dei sopravvissuti ai campi, ai romanzi scritti per espiare colpe collettive o colpe di altri. Non sono un esperto, solo un semplice lettore interessato. Però leggere una firma ‘autorevole’ del Corriere sottolineare che un libro appena pubblicato in Germania sovverte la storia e che il suo apporto all’interpretazione dei fatti è ‘clamoroso’, beh, mi ha lasciato interdetto. Di clamoroso, qui, c’è l’ingenuità di chi scrive certe cose.

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Giornalismo sportivo…l’ardua sfida della contemporaneità!

Mai come oggi il giornalista sportivo deve confrontarsi con temi apparentemente extra-sportivi. Dalle complesse implicazioni etico-legali del diffuso fenomeno del doping, ai continui scandali delle scommesse, la corruzione del sistema (vedi l’assegnazione della Coppa del mondo di calcio maschile al Qatar), il razzismo fuori e dentro gli stadi. Le occasioni per far notare quanto capiscono della realtà che si cela oltre il flebile confine del loro piccolo grande mondo sono innumerevoli. Eppure pochi fanno lo sforzo di documentarsi, di informarsi, oltre le classifiche, le storie dei record, delle “imprese” sportive (che poi molti professionisti conoscono poco anche quelle).  Il giornalista sportivo vive per definizione in un mondo parallelo.

Purtroppo per lui o lei, il ruolo che lo sport ha assunto nell’immaginario collettivo e nei sistemi economici non ammette più, se mai ha ammesso, di queste visioni fantasmatiche. Oggi è proprio il giornalista/commentatore sportivo a trovarsi in prima fila, sul punto del palco più visibile, quando questioni storiche e politiche sensibili vengono “spese”, gettate e masticate, nella comunicazione di massa. Prendiamo per esempio  la questione della nazionalità, del senso di appartenenza nazionale e dei diritti di cittadinanza, dei giovani di origine immigrata. Lo sport, e in particolare il calcio, offrono continui spunti di riflessione, a chi li voglia cogliere. Le nazionali di molti paesi europei sono l’espressione più marcata delle diversità razziali e culturali che animano le società. Per parlare di questo, anche solo per intervistare un calciatore o commentare una partita, il giornalista dovrebbe sforzarsi di capire cosa succede nella società. Per esempio, come si diventa cittadini italiani?

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Il presente (e il futuro) dell’informazione in Italia

Da mesi ormai ricevo nella casella di posta elettronica notizie di tagli, licenziamenti, prepensionamenti, drastiche riorganizzazione di molte testate giornalistiche italiane. La crisi della carta stampata, e di buon parte dell’informazione tradizionale, è seria. L’Assostampa diffonde allarmanti comunicati dei comitati di redazione che probabilmente poca attenzione ricevono dai lettori di quegli stessi giornali. Eppure queste sono notizie gravi, in un’Italia già angustiata da poteri economici e politici cafoni e improvvisazione dilagante. Merita particolare attenzione il comunicato del comitato di redazione della Gazzetta dello Sport sulla vendita della storica sede del Corriere della Sera, giornale dello stesso gruppo editoriale. Verrebbe da commentare, “ci voleva una testata sportiva per dire le cose chiaramente!”.

L’assemblea dei giornalisti della Gazzetta dello Sport ha deciso due giorni di sciopero, per impedire uscita oggi e domani, contro quella che viene definita la “svendita” della sede del gruppo. È quanto si apprende dai giornalisti del quotidiano. Questo il documento, durissimo nella forma e nella sostanza, con il quale il CdR del quotidiano “spiega” lo sciopero:

Oggi e Domani la Gazzetta dello Sport non sarà in edicola e il suo sito dalla mezzanotte di mercoledì è aggiornato. La redazione ha deciso di scioperare di fronte all’ennesimo episodio di mala gestione da parte della proprietà e del management dell’azienda.

Ci voleva il ritorno della Fiat come azionista di maggioranza del gruppo Rcs per assistere allo scempio della “svendita” del palazzo storico di via Solferino e di quello di via San Marco a Milano, deliberata mercoledì dal consiglio di amministrazione e comunicata in tardissima ora sperando non facesse troppo rumore. Un’operazione da 120 milioni di euro, a fronte di una ristrutturazione recente costata 80 milioni e un affitto da versare agli acquirenti che rende alla fine la plusvalenza quasi nulla.

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Un insulto come un altro?

E’ incredibile l’arretratezza e l’ignoranza che circondano il tema del razzismo e in particolare dell’insulto razzista. Ogniqualvolta la questione riemerge a livello pubblico, come accade in questi giorni in seguito agli episodi accaduti sui campi della Pro Patria, si leggono e ascoltano le più assurde giustificazioni. Sorvolo sugli interventi deliranti dei rappresentanti della destra, in primis quelli della Lega Nord (“Negher non è un insulto, dipende da come lo dici”, ha ruttato il deputato Salvini), e mi soffermo su quanto espresso dai media. In un articolo de La Stampa si legge:

Anche se alla fine, sotto sotto, come dice Christian, un insulto è un insulto e non è che sia più grave per il colore della pelle di chi è preso di mira.

Christian è un esponente degli ultras della Pro Patria, ma non è questo che importa. La frase è chiara: quella espressa non è semplicemente l’opinione di un tifoso di calcio, ma dello stesso articolista che con quel “anche se, sotto sotto” esprime un mondo (piccolo e gretto). Questo è particolarmente grave. Non saper distinguere tra un insulto razzista e un altro tipo di insulto è un segno dei tempi grami che viviamo in Italia.

Per spiegare il mio pensiero, prendo a prestito la spiegazione del Race and Equality Centre di Leicester, in Gran Bretagna. Diversamente da altre forme di insulto, quello razzista prende di mira una persona per la sua appartenenza ad un particolare gruppo etnico o razziale. Insultare qualcuno per come si veste o per il suo peso è un gesto crudele, sottintende che c’è qualcosa di anormale in quella persona. Ma chiamare uno “bingo bongo” o “negro di m.” esprime che non è solo la persona insultata ad essere “anormale” ma il suo intero gruppo etnico e razziale. Il messaggio è che tutti quelli del suo gruppo sono inferiori.

In questi anni sono stati scritti e pubblicati numerosi documenti sul tema del razzismo fuori e dentro i campi di calcio. Non si può (più) dire che non si sa di cosa si sta parlando.

Il giornalismo senza il giornalismo

Alcuni giorni fa, in un notiziario radiofonico della RAI, annunciano un servizio sulla Coppa d’Africa, attualmente in corso in Guina Equatoriale e Gabon. La voce dell’inviato ci giunge gracchiante come uno si aspetta che sia provendendo da un luogo lontano. Fa un effetto d’antan, simpatico. Provo un’imponderabile e imprevisto amor patrio all’idea che l’emittente pubblica abbia fatto tali passi avanti: un inviato alla Coppa d’Africa! Un segno che forse sono finiti i tempi in cui la RAI mandava all’estero gente che non sapeva nemmeno parlare una lingua straniera (e governava male pure l’italiano) a riferire cose inutili da paesi stra-noti. Verso la fine del servizio mi sorge un dubbio: ma non è che l’inviato ci sta raccontando la Coppa d’Africa seduto nel suo studio di Nairobi? E’ proprio così, il malaugurato inviato della RAI non si è spostato dal Kenia (unica sede di corrispondenza della RAI in Africa) e ha raccontato due notizie che avrà trovato nel sito ufficiale della manifestazione e si è pure lamentato che la Guinea Equatoriale non offre adeguate garanzie tecnologiche per i collegamenti…insomma, il suo ragionamento è stato: andare in Guinea era un po’ scomodo e così son rimasto in Kenia! Attorno a questa triste storiella si possono fare alcuni ragionamenti.

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Cosa succede all’Italia

L’episodio dell’orribile insulto a una deputata disabile – ‘Fate tacere quell’handicappata del cazzo’ -, avvenuto nell’ultima seduta del parlamento italiano, mi pare lo specchio di una deriva umana e culturale prim’ancora che politica ed economica. Non è Berlusconi il problema principale, ma l’abbruttimento generalizzato delle relazioni sociali. In questo caso, le parole di Massimo Gramellini su La Stampa, esprimono al meglio l’indignazione civica che dovrebbe essere di tutti (italiani in patria e all’estero). Il suo commento si può leggere QUI.

Secondo quanto riferito dall’Ansa e altre fonti, l’autore dell’insulto è un individuo a nome Massimo Polledri, deputato leghista e (sigh) di professione neuropsichiatra infantile.