A cosa serve il nome? A riconoscerci o ad identificarci? Il mio viene spesso confuso o malinteso (continuo e ricevere email che iniziano con “Ciao Mauro” o “Caro Mauro”), quindi sono abbastanza abituato a sentirmi spodestato della mia di per sè già fragile unicità. Da quando ho cominciato il fieldwork per la mia ricerca ho, tuttavia, imparato a fare i conti con la completa aleatorietà del nome. Per la squadra di calcio che sto seguendo, i giocatori, gli allenatori e i responsabili, sono Maximo, pronunciato con l’accento sulla i (non so il perché di questo, visto che all’anagrafe sono un affannoso Massimiliano, e da sempre, per tutti, Max). Ma alcuni giorni fa una bambina che circola attorno al campo da calcio, che in realtà è area aperta a mezza via tra il parco giochi di quartiere e un’area verde non troppo manutenuta, mi ha apostrofato con un imprevedibile “Melvin”. Melvin. Tu sei Melvin, ha urlato correndomi intorno. Il primo pensiero è stato: bene, almeno esisto. E’ un pensiero da etnografo, da osservatore con presunzioni di investigazione sociologica. Però è vero. Melvin, mi son detto, vabbé. Le ho chiesto – urlando perché nel frattempo era corsa non so dove: perché Melvin? Chi è Melvin? Non mi ha risposto, o meglio ha ribadito solo: Melvin, tu sei Melvin. Ho chiesto ad alcuni dei ragazzi del gruppo chi fosse quella bambina, se fosse sorella di qualcuno. No, è solo una che vive lì vicino. E’ pieno di bambini qui attorno, e il campo da calcio li attrae come il miele le api. Il club ha undici squadre giovanili, di cui due femminili, quindi ce n’è un po’ per tutti.
Tornato a casa ho scandagliato internet alla ricerca di un possibile Melvin della tv o dei cartoni animati, ma è nei videogiochi che forse ho trovato quello che cercavo. In Grand Theft Auto c’è un personaggio che si chiama Melvin, porta gli occhiali con la montatura nera e la barba. Tutto qua. Per il resto è nero, grosso e porta un cappellino coi bordi rivoltati, quindi c’entra come i cavoli a merenda con me, ma non essendoci altri Melvin in circolazione mi piace pensare che la bambina abbia visto questo gioco, magari giocato da un fratello più grande e le sia rimasto impresso il personaggio al punto da affibbiarne il nome al primo tipo un po’ anomalo che le è capitato intorno. E’ probabile sia una mia fantasia, d’altra parte la bambina non si è vista in giro da quella volta così non ho potuto chiederglielo. Per tutti sono continuato ad essere Maximo. E mi sta bene così. E’ appropriato al ruolo di outsider che mi trovo a rivestire.